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A cura di Giuseppe Giraldi

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“Altri Comuni in Calabria si accorpano in autonomia” di DOMENICO GIMIGLIANO*

Posted On Mercoledì, 29 Novembre 2023 21:54

Con un atto di protervia la Regione Calabria vorrebbe annettere i Comuni di Castrolibero e Rende al comune di Cosenza, ma altri comuni fanno da soli... 

Nei giorni scorsi, nella sala consiliare di Nocara, sei Comuni dell’Alto Ionio cosentino (Albidona, Alessandria del Carretto, Canna, Castroregio, Montegiordano, Nocara e Oriolo) si sono costituiti in Unione di Comuni.

In realtà quella di Nocara non è la prima Unione di Comuni in Calabria, dove il Ministero dell’Interno in poco più di 20 anni ne registra tredici, di cui sette in Provincia di Cosenza (anche nella fascia ionica cosentina ne esiste una: Amendolara, Montegiordano, Rocca Imperiale, Trebisacce e Villapiana).

L’Accordo di Nocara non è dunque una novità. Ma è particolarmente significativo, perché in un momento storico specifico si inserisce in un più generale contesto politico il quale, al contrario, mostra di non gradire affatto i processi di governance partiti dal basso.

Esso viene così ad assumere la veste di una precisa indicazione di corretta politica del territorio. Cercherò di chiarire perché.

La Regione Calabria e la Provincia di Cosenza, in particolare il suo Capoluogo, sono interessati da un acceso dibattito sulla cosiddetta (con termine improprio) “Città Unica”.

Con un improvvido atto d’imperio all’insaputa dei Comuni stessi, la Regione Calabria ha avviato l’iter di approvazione di una legge per la fusione dei Comuni di Cosenza, Castrolibero e Rende.

Delle 139 fusioni fatte in Italia dal 2009 (dati Corte dei Conti), credo che nessuna sia stata promossa dalla Regione di appartenenza con legge diretta, senza nemmeno interpellare i Comuni interessati.

Inoltre, la ratio della legge non è quella di unificare le città a prescindere dal numero di abitanti, ma quella di realizzare economie di scala riducendo il numero dei piccoli comuni.

È questa una fusione, tra l’altro, che darebbe luogo a una città senz’anima e senza identità, che non ha qualità e non ha nemmeno forma urbana: una città – spaghetto, larga quanto la ristretta fascia fra autostrada A2 e fiume Crati (2 km) e lunga quanto si vuole (20 km e poi ancora oltre, a nord).

Ma Cosenza non è questo. Non è una Città Unica, è una Città Policentrica che comprende i borghi che le fanno corona, quella che si vede di sera sulle alture circostanti, punteggiata e definita dalle luci in un paesaggio da favola.

È quella selezionata e approvata dalla Commissione Europea e inserita nell’Accordo di Partenariato con l’Italia che regola la programmazione comunitaria e le modalità d’impiego delle risorse: si chiama Area di Cintura di Cosenza.

Ha una precisa identità storica e culturale. È sempre stata area di cerniera tra la due Calabrie, Citeriore ed Ulteriore: non è destinata a fare, come si tenta, da “Terminale” di un anonimo Asse edificato in fuga verso nord.

Era la capitale del territorio bruzio, è capoluogo della stessa provincia; non può essere assorbita, periferizzata e impoverita di funzioni.

Il 30 marzo 2021 il programma ONU “Habitat – Insediamenti umani” ha pubblicato un rapporto con misure tese a mitigare l’impatto delle pandemie nelle città e nelle aree urbane.

Tra le raccomandazioni: ripensare la forma e la funzione delle città.

La città del dopo–Covid: ne parlano e la studiano esperti di tutto il mondo. A Parigi è stata elaborata la “Città dei 15 minuti” (intesi come distanza dai principali servizi), adottata anche a Barcellona e in altre città. Altra soluzione è la “città policentrica” o “città arcipelago” come la chiama il nostro Stefano Boeri.

A Cosenza le due soluzioni esistono già: i borghi dell’Area di Cintura distano quasi tutti meno di 20 minuti da Cosenza e, insieme, costituiscono una “città arcipelago”.

In un tale contesto non può intervenire una decisione politica monocratica a delegittimare i Comuni e trasformare profondamente il territorio. In tale contesto più che mai la raccomandazione è: “governance multilivello più integrata e cooperativa”: proprio il contrario di quello che sta avvenendo.

Su questi argomenti è intervenuta anche la Corte dei Conti, che si è espressa in maniera molto critica proprio in riferimento alla ventilata fusione Cosenza, Castrolibero e Rende.

Di più, indica in 60.000 abitanti la soglia da non superare nelle fusioni, perché la complessità dei processi andrebbe incontro a notevoli svantaggi economici, “soprattutto se la dimensione non corrisponde a un processo identitario consolidato ma è dettato da logiche contingenti”.

Per la CdC, meglio provare con l’Unione dei Comuni, “attraverso lo stimolo della gestione associata”, ed è necessario “un processo dal basso”.

In tutto ciò si inserisce l’Accordo firmato a Nocara. Nella stessa Regione dove quel po’po’ di roba della fusione si vuole imporre con la forza di una legge calata dall’alto e con un salto nel buio senza possibilità di ritorno, sei Comuni dell’Alto Ionio attivano una governance multilivello mantenendo la propria autonomia senza lotte di campanile; uniscono un territorio, mantenendone l’alta valenza paesaggistica, con la gestione associata di funzioni al solo scopo di realizzare, con alte probabilità di successo, significative economie di scala, miglioramento delle qualità urbane e incremento della capacità di attrazione delle risorse. Il tutto senza danneggiare i territori limitrofi.

Si vede che tutto ciò non è stato “dettato da logiche contingenti”, come invece paventa la CdC per la fusione.

Vi sembra una precisa indicazione di corretta politica del territorio, oppure no?

*Coordinatore di “Prima che Tutto Crolli”,

Sezione dell’Associazione Dossetti

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A cura di Giuseppe Giraldi
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