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A cura di Giuseppe Giraldi

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I GIORNI DELLA VENDEMMIA

Posted On Venerdì, 30 Settembre 2022 18:37

Erano i giorni più divertenti dell’anno per noi che eravamo i più piccoli della famiglia e giocavamo a pestare con i piedi l’uva che arrivava nel palmento, una vasca grande come una stanza, con pareti in mattoni intonacati.

Ricordo ancora come avveniva la raccolta dell’uva sessant’anni fa. Gli uomini nella vigna la raccoglievano e la mettevano dentro delle grosse ceste di vimini che poi le donne caricavano sulla testa e portavano al palmento. Erano ceste che, colme dei grappoli maturi, pesavano almeno 30 kg.

Erano contadine che avevano un collo molto robusto e allenato a questo tipo di lavoro e quando ritornavano in vigna, per fare un altro carico d’uva, nelle ceste vuote e sulle loro teste, c’eravamo noi bambini che di certo pesavamo meno di trenta chili.

Fortissime, quelle donne facevano anche a gara a chi era più veloce con un ragazzino nella cesta sulla testa. Per noi gran ridere e gran divertimento.

Finito questo gioco, salivamo sulle assi del palmento e tenendoci a una corda che pendeva dal soffitto, saltellavamo per pigiare l’uva e far scolare il mosto nella vasca sottostante. Anche questo per noi era un gioco e nonostante il fatto che per gli adulti quello fosse un lavoro, si divertivano anche loro e ci lasciavano fare.

Giorni di gioia per tutti e il più contento era proprio mio nonno Gaspare, il quale sovrintendeva a tutte le operazioni, dava a tutti un sorriso e le giuste disposizioni su cosa fare e come fare.

Ancora ai giorni nostri, quando arriva l’autunno, si fa il vino nelle nostre campagne, ma l’uva la trasportiamo con la carriola, non ci sono donne che portano le ceste sulla testa e bambini non se ne vedono, non li coinvolgiamo più in tante tradizioni che vanno perdendosi.

Dopo la raccolta e dopo il trasporto, l’uva la pigiamo con un macinino elettrico che toglie anche i raspi, riducendo i tempi di lavoro in una proporzione di uno a dieci e il mosto ottenuto è sicuramente meglio lavorato; non finisce nel palmento, ma viene stoccato in vasche di plastica per alimenti, più igieniche e meno pericolose.

Infatti, un tempo, di tanto in tanto, si sentiva dire che qualcuno era morto nel palmento perché, andato a rivoltare il mosto, c’era rimasto secco e non era più risalito. Moriva perché non sapeva che il processo di fermentazione trasforma lo zucchero dell’uva in alcool e anidride carbonica, che se respirata per un po’ di tempo fa perdere i sensi e, respirata ulteriormente, uccide.

È vero che oggi si fa meno fatica, ma la gioia non è più la stessa di allora. Non ci sono le donne che cantano portando le ceste, non si sente il vociare dei bambini e

nemmeno il rumore dei chicchi d’uva schiacciati a piedi nudi, non si percepisce con la stessa intensità il profumo del mosto. Chi ha vissuto tutte queste sensazioni le custodirà con cura nella propria memoria. Non le dimenticherà.

 

Tratto da

IO E ARINTHA. Le cose che non voglio dimenticare.

di Giuseppe Giraldi

https://www.pellegrinieditore.it/io-e-arintha/

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A cura di Giuseppe Giraldi
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