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A cura di Giuseppe Giraldi

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Giuseppe Giraldi: IO E ARINTHA ~ le cose che non voglio dimenticare

Posted On Mercoledì, 08 Settembre 2021 20:21

La pandemia che ha mortificato la nostra socialità è stata  devastante anche nei confronti di tante attività alle quali eravamo abituati.

 

Siamo andati avanti come per  inerzia, rallentando ogni giorno che passava e contemporaneamente abituandoci a privarci di azioni ed emozioni che prima riempivano la nostra vita.

Abituarsi alle mascherine, a privarsi di un abbraccio e finanche di una stretta di mano, ci ha cambiato? Spero di no. Però, quando incontro qualcuno, non avverto più l’impulso che prima mi portava a scambi sociali con tutti, anche sconosciuti. Non voglio più comprimere il mio istinto alla socialità. Forse chi è meno empatico non avverte la gravità della perdita che continuiamo a subire.

Viviamo di speranza, stavolta di tornare al passato piuttosto che al futuro. Ed è stata questa speranza, oltre al periodo di “lockdown”, a spingermi a scrivere un libro (IO E ARINTHAnel quale racconto dei giorni dell’infanzia  sino ai miei vent’anni (dagli anni 50 agli anni 70, dal medioevo al centro di calcolo)

Quello narrato è stato un periodo duro e lo rivivo attraverso il racconto della mia formazione, intervallando i vari capitoli con aneddoti e vicende familiari, ma anche raccontando delle tradizioni contadine e della vita di paese negli anni sessanta e settanta. 

Racconto i sapori e i profumi delle cose semplici e genuine, i giochi praticati dai ragazzi nei viottoli di campagna e nel paese, l’incontro con il mondo della scuola vissuto da bambino, da fanciullo, da ragazzo. 

Poi racconto il mio ingresso nel mondo del lavoro e l’impatto con il mondo universitario. Racconto dell’arguzia di nonno Matteo, della bonomia di nonna Teresina, della tristezza e del coraggio di nonno Gaspare nell’affrontare le avversità che sconvolsero la sua vita per la perdita della moglie, mia nonna Maria. Del difficile rapporto con mio padre e dei sacrifici fatti da tutta la famiglia per non essere emigrati anche noi in Canada, quando qui trovare lavoro era più difficile di adesso.

Negli intermezzi  tra i capitoli, racconto come, grazie ad internet, ho ritrovato persone che hanno segnato la mia fanciullezza e che pensavo perdute. Poi anche delle tradizioni, degli usi e dei costumi che sopravvivono ancora in parte in paese e nelle nostre campagne: la fiera di Arcavacata e le feste di paese (eventi che rappresentavano per noi momenti di gioia e di svago), la  macellazione del maiale,  la mietitura, la vendemmia e il pane fatto in casa al forno a legna, l’importanza di Piazza degli Eroi, come  anche l’emozione per il primo Settembre Rendese e per il cinema Santa Chiara. Poi ancora le conquiste degli anni sessanta, il mio primo amore, aneddoti sull’incomprensione di mia nonna per la  televisione e degli anni settanta con la contestazione studentesca e l’acquisto della mia cinquecento di seconda mano.

Per ultimo, il capitolo più corposo, il racconto della fine di una tradizione tipicamente rendese, quella dei pignatari, che affonda le sue radici nella notte dei tempi, quando qui furono trapiantati i profughi troiani di Arintha, della quale vengono svelati particolari inediti tramandati da una tradizione orale che propone una rilettura delle sue vicende più completa e compatibile con gli stili di vita del tempo in cui visse.

Il racconto I PIGNATARI DI RENDE è una favola di realtà romanzata, nella quale la narrazione di fantasia delle vicende di una famiglia di pignatari, che abbandonano il loro mestiere e partono per il nuovo mondo, è solo il pretesto per far rivivere il periodo in cui quel mondo scomparve lasciandoci il rimpianto per un’epoca nella quale la vivacità, l’allegria e l’ironia erano le basi del buonumore, elisir di buona vita. Ed è questo spirito che dobbiamo ritrovare per poter dire che la pandemia è finita.

Quando accadrà io non lo so, ma tutti dobbiamo adoperarci perché questo giorno arrivi presto. 

Giuseppe Giraldi

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