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A cura di Giuseppe Giraldi

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MIO NIPOTE GIUSEPPE

Posted On Giovedì, 25 Marzo 2021 13:32

Ho un nipotino, si chiama Giuseppe. È l’unico nipote, ma io gli dico che è il preferito. Oggi mi ha chiesto di fare un articolo che parli di lui, così, come se fosse una cosa naturale, facile facile. 

E invece, come faccio a descriverlo?

Sì, è bello, ma come si descrive la bellezza? È intelligente, ma come si descrive l’intelligenza?

È pure buono. Mi correggo: è kalòkagathòs (tranquilli, gliel’ho insegnato anche in greco). Questo non lo sanno descrivere nemmeno i philosophes, pensate io.

È una bella testa dura, questo sì. Questo lo so descrivere, ma è inutile farlo, tanto non si convince perché ha la testa dura: figuriamoci, lui e la sua testa compiono tra poco otto anni di consolidamento assistito.

Ha uno spirito di osservazione straordinario, e questo, con l’intelligenza e con l’intuito, sarebbe una bella miscela. Tanto è vero che io ogni tanto (ma solo ogni tanto, davvero) cerco di approfittare di questa straordinaria combinazione per fargli capire la destra e la sinistra.

Cerco infatti di fargliene capitare un’altra, di combinazione, altrettanto straordinaria: o qualche eventuale pausa negli scatti e nel movimento continuo, oppure che so, una riflessione ragionata, un metodo di rilassamento: gli ho pure narrato della parte sinistra del cervello, quella lenta (che serve a ragionare e a stare calmi), e di quella destra, istintiva e veloce, (che serve sì a non farlo cadere, ma lo aiuta poco quando deve riflettere).

Gliel’ho spiegato per bene, e gli ho anche detto delle sinapsi, quelle con cui l'assone di un neurone contatta l'albero dendritico di un altro neurone. Pensate un po’.

Ma non so perché, all’inizio mi segue, ma poi si accorge del mio tentativo e ritorna a muoversi e a scattare, come se dell’albero dendritico non gliene fregasse niente. La sinistra (del cervello) evidentemente gli piace meno della destra.

Per consolarmi, mi dico che lo fa perché altrimenti dovrebbe ascoltare, e questo contrasta con la testa dura. Ma qualche volta mi viene il sospetto che abbia ragione lui a ritenere seccante e “precisina” la sinistra.

Bisogna dire però che sta migliorando.

A scuola è bravo, nella pagella è più “avanzato” che “intermedio” (così si dice oggi, che volete: non si può sapere “quanto” è bravo. Eh, ai miei tempi, quando c’erano la bellezza di dieci voti a disposizione dei maestri! Bei tempi, quelli.).

Da grande Giuseppe vorrebbe fare l’ingegnere per costruire la Lamborghini. Vorrebbe pure fare altre cose, ma questa è quella che gli piace di più.

C’è solo un ostacolo: per fare in futuro l’ingegnere e la Lamborghini bisogna che fin da ora cominci a imparare la matematica (nella quale si trova invece, con mio disappunto, tra “base” e “intermedio”) ed è qui che quando capita io cerco di approfittare, per la verità con un po’ più di efficacia del solito: per la matematica ho l’autorizzazione.

E però lui se ne accorge lo stesso e mi concede ascolto solo negli stretti limiti; vabbè, con qualche concessione, diciamolo, ma piccola e breve, perché mica può stare tanto tempo senza muoversi.

Lui intanto, in attesa della matematica si prepara: ha una collezione di macchinine. Anzi più collezioni di macchinine. Anzi, diciamola tutta: più autoteche (come le biblioteche, le emeroteche, le pinacoteche).

Più precisamente. La sua collezione ha così tante macchinine che debbono essere collocate presso varie autoteche: a casa di papà, a casa di mamma (eh, sì, mamma e papà sono divorziati; contro la sua volontà, beninteso) da nonna Lina, da nonna Isa.

Nonno Mimmo, che poi sono io, non c’entra, la casa è di nonna, e poi lui con la Lamborghini già rompe in matematica.

E ci costruisce pure le città, con le macchinine. Sì, lo fa, ma lui è geniale.

Pensate un po’: quando si disegna una città, si disegna una città reale per gli abitanti, con le case e le strade e tutto, e se macchine ci sono, sono poche e virtuali. Bella forza: sono tutti capaci di ideare una tale città, tanto le macchine virtuali se ci vanno, ci vanno e se no, no.

Lui invece dispone le macchine in modo che ci vadano tutte ordinatamente, e queste sono reali; però sono disposte in modo da individuare le strade, i parcheggi, i supermercati e tutto, che invece, quelli sì, sono virtuali. E il vantaggio qual è? Ma è chiaro: se poi putacaso la città virtuale di Giuseppe si volesse realizzare, le macchine ci andrebbero tutte, ma proprio tutte. Eh?

Caro Giuseppe (ora scusate, voglio dire una cosa a lui personalmente, è una questione intima). Non che per progettare la Lamborghini non ci voglia la testa dura, anzi: per raggiungere grandi risultati non se ne può fare a meno.

Solo, la testa dura deve cambiare l’abito.

Deve smettere l’abito frusto del testardo (non ti preoccupare, noi “precisini” lo chiamiamo così, ma significa solo logoro), che si indossa quando si vuole prevalere sugli altri, quando le proprie convinzioni non si vogliono “sostenere” con i ragionamenti, si vogliono solo “imporre”.

Deve invece indossare l’abito elegante del risoluto, quello della costanza, quello buono per affrontare le cose e non le persone, quello che serve per brindare con gli altri, non per aggredirli.

Lo si indossa quando si vuole conquistare il traguardo e i risultati sono più appaganti, quando si combatte “assieme” agli altri, e non “contro” gli altri.

Per far questo, di testardaggine ce ne vuole anche di più, ma cambia nome: si chiama costanza, e con essa si portano avanti le convinzioni, non si difendono le posizioni assunte.

Con l’abito frusto, Giuseppe mio, la Lamborghini non si può costruire, nemmeno se la matematica c’è. Senti a tuo nonno, là il ragionamento ci vuole per forza.

Domenico Gimigliano

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