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A cura di Giuseppe Giraldi

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RILANCIARE SORICAL PER MIGLIORARE IL SETTORE IDRICO CALABRESE

Posted On Martedì, 25 Agosto 2020 08:20

CONTRIBUTO DI LUIGI INCARNATO SUL TEMA DELL'ACQUA IN CALABRIA

Da alcune settimane, sindaci ed esponenti politici, discettano sulla riforma del servizio idrico calabrese, attesa da oltre 35 anni.

Commettendo gli stessi errori del passato: si parla dei “contenitori” e senza mai entrare nel merito dei “contenuti” del processo riformatore. Se la Calabria si trova oggi a fare i conti con la più grave crisi di sistema, (insieme a quella dei rifiuti e della sanità), ciò è dovuto quasi esclusivamente alla superficialità con cui da decenni gli amministratori (non tutti per fortuna) affrontano il tema della gestione e del finanziamento. La stessa superficialità che leggo in sconsiderate prese di posizione di alcuni amministratori, più preoccupati ad accaparrarsi spazi di potere che a sciogliere i nodi irrisolti nell’esclusivo interesse dei cittadini.

Per molti, l’Autorità Idrica sarebbe stata la panacea di tutti i mali, presentata come un’innovazione legislativa regionale; più semplicemente non è che un obbligo di legge nazionale a cui la Calabria è arrivata con 7 anni di ritardo. Ora l’assemblea dei sindaci, da due anni è chiamata a completare gli organi con la nomina del direttore generale, del revisore dei conti e avviare l’attività con l’aggiornamento del Piano di Ambito su cui basare gli investimenti futuri finanziati dall’Ue, affidare il servizio ad un gestore, dopo aver scelto la forma di gestione tra le tre opzioni possibili: privata, mista o in house.

In questo contesto è surreale il dibattito intorno al futuro della Sorical, così come viene posto. Ricordo che la società nel 2012 è entrata in crisi finanziaria e messa volontariamente dai soci in liquidazione, prevedendo la continuità gestionale, proprio in attesa di una riforma che dopo nove anni non è arrivata. La crisi finanziaria della Sorical ha una precisa responsabilità: i sindaci e le cinque Province che avrebbero dovuto attuare la legge regionale 10/97 che recepiva la legge Galli, affidando la gestione del servizio a cinque soggetti industriali, uno per ogni provincia, che avrebbero dovuto mettere a regime il sistema amministrativo e gestionale; questo, per consentire attraverso la riscossione della tariffa, la copertura dei costi e la pianificazione degli investimenti. Tutto ciò non è stato fatto, anzi fino al 2015, i sindaci hanno utilizzato quel poco che hanno incassato per fare altro, scaricando prima sulla Regione e dopo sulla Sorical i costi di gestione del servizio degli ultimi 40 anni.

Oggi Sorical rappresenta l’unico soggetto industriale in Calabria capace di gestire i grandi acquedotti, dagli invasi ai serbatoi, e come ha dimostrato con alcuni progetti sperimentali, ad ottimizzare le reti comunali. In tal senso sarebbe stato positivo, anche per disservizi che si stanno registrando negli ultimi mesi, se fosse partito subito il progetto “Cantiere Abatemarco”, annunciato nel 2017 e colpevolmente bloccato dalla Regione. Un progetto che avrebbe supportato i Comuni nella corretta gestione idraulica e amministrativa delle utenze domestiche e commerciali dei primi 60 comuni calabresi, che rappresentano il 70% dei consumi idrici regionali.

Alcuni sindaci vorrebbero un affidamento in house del servizio; però tale tesi non è suffragata dalle competenze da mettere in campo (chi fa cosa?). Il rischio concreto è che la società in house possa fallire dopo pochi mesi, come è accaduto con Soakro a Crotone.

Con questo presupposto, qualche sindaco ha citato, impropriamente, i casi positivi di società idriche della Puglia, della Basilicata e della Sardegna, disconoscendo che nelle tre regioni operano società a controllo pubblico e non società in house. Infatti, Acquedotto Pugliese Spa è controllata al 100% dalla Regione Puglia con una doppia proroga dell’affidamento con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Renzi e Conte) a causa dello scontro che si registra tra Regione e Autorità idrica pugliese che ne vorrebbe il controllo. Il 65% del capitale di Abbanoa spa è controllata dalla Regione Sardegna, il restante da quasi tutti i comuni sardi. Su questa forma di gestione pende un ricorso alla Corte Costituzionale perché alcuni enti locali non entrando nella società, sono rimasti esclusi dal piano degli investimenti. Mentre di recente l’Anac ha fatto presente che i Comuni “necessariamente” devono avere il “controllo analogo” delle società idriche. Infine Acquedotto Lucano; la Spa è nata nel 2005 per volontà espressa degli enti locali e della Regione, l’autorità idrica ne ha preso atto, il capitale è diviso tra la Regione, che detiene il 49% e Comuni il restante 51%. I Comuni lucani hanno sottoscritto quote di capitale proporzionate alla popolazione, mentre la Regione, per consentire il controllo analogo, in assemblea decide con il 22% delle quote di capitale posseduto. La società è nata incorporando il know how del ramo materano dell’acquedotto Pugliese prima che avvenisse il trasferimento alla Regione Puglia. Per calmierare la tariffa, la Regione Basilicata finanzia la società con un contributo di 20 milioni di euro annui, pari al 22% dei costi operativi, che ammontano complessivamente a circa 75 milioni di euro l’anno. La Basilicata, seppure con 560 mila abitanti e la morfologia del territorio, potrebbe essere il benchmark della Calabria che, avendo quasi due di milioni di abitanti, deve considerare costi di gestione per quattro volte a quelli lucani (quasi 300 milioni di euro l’anno). Ed è qui che i ragionamenti di alcuni sindaci calabresi non tornano. I piani industriali fino ad oggi redatti, tengono conto in parte dei rischi finanziari della fase di start up della nuova società. Deve essere chiaro che una società in house deve avere i capitali per farsi carico della parziale copertura dei costi iniziali, fino al raggiungimento dell’equilibrio economico e finanziario. Già il primo mese di vita deve considerare i costi energetici, stimati in oltre 80 milioni di euro l’anno; dei costi di manutenzione diretta per acquedotti, reti idriche, fognature a depuratori, pari a non meno di 100 milioni di euro; del costo del personale che dovrà operare in ognuno dei 400 Comuni della Calabria, circa 40 milioni di euro. Quindi è del tutto evidente che la fase di start up della nuova società, senza un’adeguata capitalizzazione, rischia di compromettere tutto il sistema, compreso quello che, seppur con enormi difficoltà, oggi funziona.

Quindi la discussione delle ultime settimane sul destino di Sorical e di enti impegnati nella depurazione come Consorzio Vallecrati, sono fuorvianti e privi di consistenza giuridica, economica e politica. Semmai, vista la necessita di procedere all’avvio del servizio idrico integrato, le esperienze positive esistenti sul territorio rappresentano un’opportunità, il perno su cui costruire con gradualità il servizio idrico integrato prevedendo un lasso temporale per completare il ciclo. Del resto questo percorso è quello descritto e imposto dalla legge 152/2006 che, ricordiamo, ha abrogato la legge Galli del 1994. Su Sorical è mia convinzione che tenerla ancora in liquidazione non ha più senso perché da 9 anni continua ad avere bilanci economici in equilibrio e a garantire il servizio idrico a 385 Comuni, senza dimenticare che ha completato le uniche due dighe ad utilizzo idropotabile, guadagnandosi sul campo il merito di essere la più grande esperienza calabrese del settore idrico. Rilanciarla, invece, rappresenta una grande opportunità per la Calabria e per i Comuni, a meno che qualcuno, che non si è mai occupato di queste materie e ha scarsa consapevolezza dell’ordine delle cose, pensa di avere la bacchetta magica e far partire il servizio idrico integrato dal nulla il primo gennaio 2021 e in violazione delle leggi dello Stato.

Luigi Incarnato (*)

 (*) Commissario Sorical (già consigiere e assessore regione Calabria)

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