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A cura di Giuseppe Giraldi

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TEMPO DI "QUADARA"

Posted On Domenica, 12 Gennaio 2020 15:04

di Giuseppe Giraldi

Gennaio era il mese dell’anno in cui si faceva la festa al maiale. Ogni contadino diventava prima macellaio, poi conservatore dei salumi e poi anche cuoco.

Era lui che indossando un grembiule bianco preparava quel che restava del maiale che non poteva essere utilizzato per gli insaccati da stagionare, perché si sa, del maiale non si butta niente e quel che resta dopo aver fatto supersate, salsicce (dolci, piccanti e di fegato), prosciutto, capocollo, guanciale e gambuccio, va messo tutto a cuocere.

Il mastro di quadara sfilettava il lardo dalla cotenna, tagliando a cubetti il primo e a piccole strisce la seconda e man mano riempiendo il recipiente, alternava strati di lardo con strati di ossa (prelibate le palette), spina dorsale e costolette, quelle dove ancora restava un po’ di polpa. Quando pronto per accendere il fuoco, legava a un manico della quadara due canne a forma di croce e si dava avvio alla cottura.

Per meglio dire, tutto ciò che non finiva appeso al soffitto della soffitta (cacofonia obbligata), finiva nel pentolone insieme a cotiche e lardo, dove questi ultimi diventavano grasso liquido (strutto, prodotto alimentare animale ottenuto per fusione dei grassi presenti nel tessuto adiposo del maiale, anticamente utilizzato per le fritture) che, a fine bollitura, veniva conservato nelle pignate (recipienti per cuocere i cibi, generalmente di terracotta, forniti di manici e piuttosto profondi) e nei pignatieddri.

Le ossa con attaccati residui di carne di difficile asportazione, cuociono insieme a cotiche e lardo acquisendo un sapore particolare che magnificamente si sposa al gusto della verza cotta. Alcuni pezzi di lardo vengono lasciati insieme alla cotenna e in questo caso si ottiene la frittula da cui il nome della luculliana mangiata a base dei prodotti della quadara:  la frittuliata”.

Proprio adesso è il tempo delle frittule.  Al giorno d’oggi sono poche le famiglie che ancora hanno l’usanza di crescere in proprio il maiale e di lavorarlo a gennaio. Adesso i ristoranti organizzano le maialate. Al prezzo di partenza di 20 euro si mangia la pasta con la carne di maiale nel sugo, le frittule con il cavolo e le ossa bollite nella quadara, da spolpare a mani nude, i cosiddetti segnali (lingua, cuore, ecc), il fegato nelle foglie d’alloro, il soffritto, i gambetti e la gelatina e dulcis in fundo: scarafuagli (i ciccioli).

Per gustare veramente e fino in fondo, tutto questo ben di Dio, è importantissimo annaffiare il pasto con un buon vino di quelli tosti, come piacciono a noi Rennitani, un magliocco di 14 gradi, vecchio di un paio d’anni, per intenderci. Poi c’è pure un’altra possibilità. Anche le macellerie vendono i prodotti della quadara, perciò basta prenotare quello che si desidera, andare a ritirare a ora di pranzo, portare a casa e buon appetito.

Io mi servo alla MACELLERIA FOLINO, dove il titolare Tonino, oltre ad essere un bravo macellaio, è anche diplomato alla scuola alberghiera, capisce di cucina e non mi delude mai.

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