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NON CONFONDIAMO GLI INDAGATI CON GLI IMPUTATI E I CONDANNATI

Posted On Venerdì, 03 Gennaio 2020 15:33

Negli ultimi giorni la cronaca giudiziaria calabrese è stata contraddistinta da diversi colpi di scena inducendo diverse testate giornalistiche a definire tali vicende come “un finale d’anno pirotecnico”. 

Infatti, diversi sono stati i provvedimenti giudiziali di carattere penale che hanno interessato politici, amministratori pubblici e imprenditori definiti “vicini all’ambiente mafioso o alla massoneria deviata”.

nomi e i volti di queste persone sono stati resi pubblici ed esposti alla più estrema gogna mediatica senza, però, essere certi che i personaggi in commento siano, o meno, colpevoli.

Da un momento all’altro, tali soggetti sono stati definiti delinquenti, mafiosi e corrotti senza un giusto processo, ma solo poiché “condannati” da una giuria popolare che nè conosce queste personalità né, tantomeno, i fatti penalmente rilevanti agli stessi attribuiti dagli organi inquirenti.

Certo è che tutti questi arresti fanno pensar male di queste persone ma è altrettanto vero che la storia ci ha insegnato che non tutti i soggetti coinvolti nelle indagini e/o nei processi sono stati, poi, giudicati colpevoli dalla magistratura.

È bene precisare che nel nostro ordinamento giuridico una persona acquista la qualità di indagato solo nel momento in cui il suo nominativo viene iscritto nell’apposito registro disciplinato dall’Art. 335 c.p.p., ovvero quando il Pubblico Ministero indaga su quella determinata persona e provvede a iscriverla nel “registro delle notizie di reato”; cosa ben diversa, invece, quando una persona acquista la qualità di imputato nell’istante in cui viene elevata nei suoi confronti dal P.M. la richiesta di rinvio a giudizio, di giudizio immediato, di decreto penale di condanna, del decreto di citazione diretta a giudizio e del giudizio direttissimo, ovvero, in altre parole, quando il P.M. esercita l’azione penale nei suoi riguardi.

Pertanto, mentre l’indagato è solo una persona sottoposta ad indagini preliminari, all’esito delle quali eventualmente il P.M. potrà anche chiedere l’archiviazione degli atti, l’imputato è colui il quale è sottoposto ad un processo penale senza, però, essere stato ancora giudicato colpevole.

Cosa totalmente diversa è il caso del condannatoossia del soggetto nei cui confronti è stata emessa sentenza di condanna specie se tale condanna è definitiva, cioè quando viene emessa una decisione che accerta incontrovertibilmente la responsabilità penale del soggetto e contro di essa non è più possibile proporre alcuna impugnazione (art. 648 del c.p.p.) ad esclusione della revisione.

Alla stregua di quanto esposto, è bene essere cauti ad esprimere giudizi affrettati e diffamatori nei riguardi di determinate personalità sottoposte all’indagine penale in quanto potrebbero, poi, risultare totalmente o parzialmente estranee al reato che gli viene contestato dagli organi inquirenti.

In Italia (ancora per il momento!) vige il principio di innocenza sino a prova contraria e non viceversa, così come previsto dall’art. 27 della nostra Carta Costituzionale che recita in tal senso “L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

Dunque, è atto di estrema responsabilità non “infierire” su tutti prima che l’autorità giudiziaria ne accerti la colpevolezza con sentenza definitiva.

Per concludere, bisogna avere fiducia nelle forze di polizia e nei magistrati del pubblico ministero senza, però, farsi prendere dalla voglia di giustizia sommaria e dalla foga additando “tutti”, indistintamente, come colpevoli prima che tale colpevolezza sia stata accertata dalla magistratura.

A cura dell’Avv. Luigi Salvatore Falco