Quel giorno, verso le 3 e mezza del pomeriggio, andai a tagliarmi i capelli dal mio amico Franco Naccarato che da qualche anno ci ha lasciato (RIP) e entrando nel salone lo trovai, a lui e anche agli altri clienti presenti, con il naso attaccato al televisore e l’espressione del viso sgomenta. Chiesi cos’era successo, ma mentre lo chiedevo guardai anch’io la TV e vidi un’immagine che rimase da allora scolpita nella mia mente: le torri gemelli di New York fumavano come due comignoli.
Poi le cose viste diventarono sempre più atroci, non ce la faccio a dire quel che provai vedendo persone che si buttavano nel vuoto per evitare una morte ancora peggiore e quando le torri incominciarono a crollare, piansi. Silenziosamente. Come facciamo noi uomini meridionali per non mostrare il nostro dolore, ma le lacrime mi irrigarono il viso e mi accorsi che anche a qualcun altro succedeva la stessa cosa.
Ieri, anniversario di quella strage, non ho scritto nulla per rispetto alla memoria di quei morti e di tutti gli altri morti, per causa di fanatismo e intolleranza.
Ma oggi è un domani spero migliore e voglio testimoniare contro la bestialità di chi pensa che la violenza e la morte siano le giuste armi per affermare le proprie ragioni.
Per questo ho raccontato come è stato per me quell’undici settembre. Perché non dobbiamo dimenticare e ognuno di noi, per quel che può, deve impegnarsi per l’affermazione di un mondo che si incammini ad essere migliore. Magari camminando lentamente, ma che migliori.
Giuseppe Giraldi