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A cura di Giuseppe Giraldi

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Giuseppe Ferraro: "La politica è la manutenzione dei legami sociali"

Posted On Venerdì, 05 Luglio 2019 11:37
Giuseppe Ferraro Giuseppe Ferraro

"La rabbia più che la razza, “rabbismo” più che razzismo. Chi vive nelle periferie del degrado e vede arrivare il migrante, sa di trovarsi di fronte una disperazione maggiore della propria che allunga la fila degli ostacoli di vita. Quando poi l’istituzione che deve garantire le regole sociali è chiusa nelle stanze della corruzione, allora fa tutt’uno avercela con lo Stato e con l’Estraneo. Quello che stiamo vivendo esce dalle categorie di ritorno al passato. Sarà pure una situazione peggiore, di certo ancora più confusa e incontrollabile. Siamo alla fine degli Stati Nazionali, il processo di globalizzazione dell’economia e del nuovo feudalesimo finanziario non lascia margini a ritorni. Eppure la politica si muove in nome del Popolo e della Nazione, si prova a cercare un nemico ai confini per ritrovare un’identità negata e incerta. Il richiamo al Popolo è però improprio. Non è populismo, è follismo, non è il popolo, ma la folla."

E' quanto scrive il professore Giuseppe Ferraro, docente di Filosofia Morale all’Università Federico II di Napoli, che, insieme al consigliere regionale della Calabria, Orlandino Greco ha scritto a quattro mani il libro “Italie - Dalla nazione all’unione autonomie e nuovi soggetti sociali”, edito da Rubettino. "Il follower dei social è l’espressione individuale della folla digitale. E tra folla e follia il rimando è diretto, si corrispondono sul piano individuale e quello sociale. È questo che preoccupa, la deriva di ogni valore e di ogni regola di rispetto del proprio starsi accanto. Il nazionalismo non c’entra, se poi l’ordine del giorno prevede le autonomie differenziate delle regioni non è certo per confini culturali e geografici: i confini sono economici. La cultura, la tradizione, i valori, la comunità non c’entrano. Al conflitto delle classi sociali si rischia di sostituire quello delle classi territoriali."

"Meno che mai c’entrano le ideologie. Sinistra o destra significano ben poco. Le posizioni adesso sono tra chi è a difesa dell’Umanità e chi è a difesa dell’Individualità. Anche qui, si può pensare ad un contrasto antico, certo è il punto dove sempre arrivano tutte le questioni politiche e sociali. Il caso di Carola Rachete fa parte di questo scenario. Umanitaristi da una parte e Rabbisti dall’altra. In mezzo c’è quel confine emotivo, irreale, del rancore che si distribuisce da una parte e dall’altra, cadendo nell’offesa, nella esagerazione, nell’allucinazione, com’è l’immagine minacciata della macchina dei carabinieri speronata da un’auto delle ong che li vuole ammazzare. Allora s’invoca la “galera” come si fa al bar quando si parla senza ragionare. Alla fine il confine è l’altro, ricacciato nella nebbia della rabbia."

"Fu nel 1946 che Heidegger scrisse “Lettera sull’Umanismo” indirizzata a Beauffret ma diretta a Sartre che aveva scritto l’anno prima “L’esistenzialismo è Umanesimo”. Torna attuale, come anche quegli anni tornano attuali perché furono quelli della costruzione della Comunità Europea che usciva dal totalitarismo dei nazionalismi. Sartre sosteneva che l’essere è farsi e che la soggettività individuale non poteva prescindere dall’intersoggettività: «nulla può essere bene per noi senza esserlo di tutti», l’esistenza di ognuno verso l’impegno politico di comunità. Heidegger avvertiva invece che bisognava uscire dalla logica del fare per indirizzarsi al compiere ovvero a quell’ascolto dell’Essere a cui ogni esistente appartiene e gli sta accanto. Da una parte l’impegno sociale, dall’altra l’abbandono. In questione ora è l’altra espressione affine, “umanitario”, cancellata dalle ragioni dell’ospitalità dal Decreto Sicurezza e rivendicata dall’esigenza del diritto di umanità. Forse bisogna uscire dall’una come dall’altra logica e intendersi su una prospettiva che sia comunitaria e che in questo momento vacilla insieme al ruolo dell’Europa nel processo di globalizzazione."

"Il fenomeno della migrazione è epocale. Attraversa l’Europa dalla fine dell’Impero Romano che aveva assicurato il riconoscimento del diritto di essere cittadino romano nelle proprie terre. Fu quando venne a mancare questo diritto che si aprì quella migrazione verso un diritto allora cancellato e negato. Essere cittadino del mondo fu l’idea del cosmopolitismo di Kant e dell’Europa che nasceva nel secolo della Ragione, dei Sentimenti, e dell’Economia Politica. Una linea questa del tutto in crisi e che riguarda il cuore della Cittadinanza. Siamo in epoca post colonialista. Se prima si colonizzava l’Africa occupandone le terre, adesso parrebbe che si colonizzano gli africani lasciando disoccupate le terre. Un po’ come è accaduto per l’Unità d’Italia quando l’occupazione del Paese ha significato la colonizzazione delle persone e non delle terre, privilegiando l’occupazione delle fabbriche del Nord e non l’occupazione dei territori nel senso di dare opportunità di progresso locale."

"L’Umanismo non basta. Né vale il rabbismo a difesa dei confini economici di chi sta meglio avversi a chi sta peggio. La rabbia si traveste in razza e crea conflitti e confini dove non ci sono. La Nazione, la Patria, la Religione, non c’entrano se non come depistaggio. I confini sono economici. Heidegger iniziava quella lettera dicendo che “noi non pensiamo ancora in modo abbastanza decisivo l’essenza dell’agire”, che non è il fare o negare, ma “il portare a compimento”, parlarsi, abitando il linguaggio come nostro starci accanto in una società comune. Chi non si dispiace non può fare politica, perché non procura gioia dove c’è disperazione. La politica è la manutenzione dei legami sociali. Quando si crea rabbia e divisione si alterano le emozioni e si diventa ancora più soli, reclusi sullo schermo di casa con le mani legati alla tastiera del tablet. Si aggredisce, non si parla. Si guarda, non si vede. Intanto cresce il divario e le Italie sono tante, divise, differenziate. L’umanismo allora non basta se non diventa politica sociale di comunità differenti, se non si attiva un piano economico che muove verso l’occupazione dei luoghi, che faccia di ognuno un luogotenente del proprio sviluppo territoriale."

"ITALIE allora in una prospettiva comunitaria. L’accoglienza diventa un valore quando partecipazione della memoria, quando si ospita nel racconto dei luoghi chi viene per cercare un nuovo mondo e quando non ci si sente stranieri ed estranei a casa propria, perché è questo che sta accadendo ci si sente messi al confine della memoria e dai luoghi che si abitano. Non è accoglienza rinchiudere chi viene per mare in campi profughi, lasciandoli per strada e lucrando sulla loro disperazione. L’umanità è il diritto alla dignità. Manca a chi qui abita e a chi qui viene. Si dice che calano le nascite, che i giovani se ne vanno, mettendo famiglia altrove, si respinge chi viene e chi va va via non vuole e non può tornare. Ci sono intere cittadine disabitate, interi paesini dismessi. Bisogna farsi luogotenenti dove si è disoccupati per mancanza di lavoro invocato e negato. L’occupazione non è il posto in fabbrica se quartieri e rioni restano disoccupati. C’è un’economia di comunità, del paesaggio, della memoria, dell’abitare … la divisione del lavoro è la condivisione dei luoghi. Bisogna tenerli insieme."

"La politica è la manutenzione dei legami sociali, perché nessuno è libero da solo, perché la libertà è fatta di legami. Bisogna uscire da umanitarismo e da rabbismo per ritrovare legami e sentimenti. Penso a ITALIE come espressione politica, denominatore plurale di una prospettiva comunitaria. ITALIE è la proposta che riunisce sul piano della Costituzione la ricchezza delle differenze delle tante comunità che si rispettano in un’alleanza regionale, l’unione comune delle autonomie per essere luogotenenti del paese non come guardie di confine, muri e nemici, ma come salvaguardia di vita per il benessere di ognuno e la felicità di tutti. La sfida adesso è questa, l’unione sociale delle autonomie perché sia più esplicita l’espressione comunitaria della politica dei legami."

 

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