Ci mettevamo all’ombra degli alberi e stavamo seduti sul ciglio di un costone sotto al quale passavano tutti gli animali che dal Tirreno, dopo aver varcato il valico della crocetta, arrivavano a Rende e poi scendevano per una stretta gola “i cavi” verso la collinetta che porta il nome di Santo Stefano, che era la loro meta, in quanto sede della fiera di Arcavacata.
Guardavamo le bestie passare contando i vitelli, i cavalli, le capre, i maiali, gli asini e anche le pecore... senza addormentarci, perché la novità di quel transito non era silenziosa ma molto chiassosa, sia per il rumore degli zoccoli che per le grida degli uomini che dirigevano le mandrie, sempre avvolte in nuvole di polvere e moscerini. Li guardavamo scendere per quella gola stretta e quando qualche animale incespicava, ci alzavamo di scatto per valutare meglio la portata dell’incidente.
Dopo un paio di giorni di quel transito, già notavamo che la collinetta di Santo Stefano sembrava essere animata, il brulichio che, dall’alto della collina di Rende, si notava, sembrava conferire vita propria a quella zona che, per il resto dell’anno, restava inanimata. Quegli animali che si muovevano lentamente, determinando anche il muoversi di tutti gli altri, sembravano le onde di un mare calmo e, anche lui, fiacco per la caligine; le povere bestie stavano al sole dalla mattina alla sera e le loro code schioccanti, per scacciare mosche e moscerini, sembravano la schiuma di quelle stesse onde.
Era un grande mercato, si facevano grandi contrattazioni, perché a quel tempo, qui da noi, il boom economico non era ancora arrivato e il ruolo degli animali nella vita della Calabria era determinante. Solo i maialini che si vendevano alla fiera di Arcavacata erano di certo un numero importante, perché era l’ultima possibilità di far crescere un animale che sarebbe poi stato macellato in inverno. Ed è risaputo quanto fosse importante, per le famiglie calabresi, poter contare sui prodotti di questo allevamento.
Quando divenni un poco più grande, non stavo nella pelle aspettando il periodo della fiera, perché andavo anch’io in mezzo a tutta quella gente e a tutti quegli animali. A quindici anni, a scuole chiuse, andavo a vendere bibite sotto una di quelle tettoie che ristoravano gli avventori, dove si sedevano sulle panche fatte con assi di tavole inchiodate come anche i tavoli e venivano servite, prevalentemente, colazioni a base di mortadella e pecorino. Ma che sapore quelle colazioni e com’era rinfrescante tenere in mano una bibita appena tolta dalla tinozza dell’acqua con dentro un blocco di ghiaccio.
Ricordi di sensazioni, emozioni, di amici e persone, di usi e costumi che non esistono più. Siamo talmente cambiati perché è cambiato il mondo attorno a noi; qualcuno dice in peggio (pessimisti), ma io credo in meglio ed ho voluto scrivere questo ricordo perché forse la consapevolezza del passato ci può aiutare a vivere meglio il presente e forse ci allevia l’ansia di un futuro sempre più imprevedibile.
Giuseppe Giraldi